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Canto III Inferno

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Caronte, illustrazione di Paul Gustave Doré
 

Riassunto

Il canto terzo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nell'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, e poi sulla riva dell'Acheronte, primo dei fiumi infernali; siamo nella notte tra l'8 e il 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori tra il 25 e il 26 marzo 1300.

Il canto terzo è ambientato nell'antinferno. I personaggi che caratterizzano questo luogo, oltre ai protagonisti sono: Caronte e "colui che per viltade fece il grande rifiuto". All'inizio si trovano di fronte ad una porta che arreca delle parole dal significato tetro e difficile da capire. Dante dice: "Maestro. il senso lor m'è duro". L'ambiente descritto è tetro e buio, si distinguono solamente le voci dei dannati che soffrono le pene alle quali sono stati destinati. In particolare troviamo gli ignari. Sono coloro che in vita non hanno mai partecipato a nulla, non si sono mai schierati ne a favore del bene, ne a favore del male. Sono di conseguenza mischiati a quegli angeli, che all'epoca della rivolta di lucifero non si sono schierati ne con Dio, ne con il maligno. La loro pena (per la legge del contrappasso) consiste nel correre dietro ad un'insegna, intesa come una bandiera bianca: siccome in vita non si sono mai interessati a nulla, adesso sono costretti a seguire una bandiera senza potersi mai fermare. In oltre vespe e mosconi rigano il loro volto facendo fuoriuscire del sangue che mischiato alle lacrime viene raccolto ai loro piedi da vermi. Non sono voluti ne dal paradiso per non essere meno bello, ma neanche dall' inferno, perché altrimenti sarebbe un motivo di vanto per gli altri peccatori. Inutile aggiungere che costoro non sono affatto ben considerati da Dante che li giudica dei meschini; questo ovviamente è dovuto al suo interesse politico per Firenze, al quale partecipa in maniera attiva. Ma in mezzo alla folla riconosce "l'ombra di colui che per viltade fece il grande rifiuto". Esitono due correnti di pensiero su chi potesse essere costui. La prima parla di Celestino V che con la sua abdicazione favorì la elezione di Bonifacio VIII, acerrimo nemico di Dante, il quale lo pone nella terza bolgia dell' ottavo cerchio fra i simoniaci (coloro che vendono cose sacre). Altri lo identificano come Ponzio Pilato che lavandosene le mani e ponendo la decisone nelle mani del sinedrio non si schierò da nessuna parte. In ultima ipotesi possiamo ricordare quella che vede lo identificato come Esaù che rinunciò alla primogenitura per un piatto di lenticchie. Dopo gli ignavi, si dirigono verso le rive dell'Acheronte (uno dei due fiumi infernali) e vedono un gruppetto di persone ammassati sulla riva. Ad un certo punto giunge Caronte il traghettatore che li conduce sulla riva opposta "ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo". Il demonio vede che Dante non è un morto e lo esorta ad allontanarsi, ma poiché vede che non si muove effettua una profezia sul suo futuro dicendogli che la sua strada per l'aldilà non passerà per l'inferno. Infatti tutti i personaggi infernali sono capaci di vedere nel futuro, ma man mano che gli eventi si avvicinano nel tempo diventano sempre più oscuri. "Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare"; con queste parole Virgilio risponde alle lamentele di Caronte sulla presenza di un vivo all' inferno. Il senso di questa frase è che il viaggio di Dante ha uno scopo divino. Dopo questa risposta il traghettatore non proferisce più parola e per far salire le anime dannate sulla sua imbarcazione le picchia con il remo. Il canto viene chiuso con il paragone di un uccello che risponde al suo richiamo con le anime che si ammassano sull'imbarcazione a un semplice cenno di Caronte.

Parafrasi

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Attraverso me si entra nella città dolorosa, nel dolore che mai avrà termine, tra le anime dannate.
 
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore.
Dio, mio eccelso creatore, fu mosso dalla giustizia: sono opera del Padre (la divina potestate), del Figlio (la somma sapienza) e dello Spirito Santo ('I primo amore).
 
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
Prima di me non fu creata nessuna cosa se non eterna, e io durerò fino alla fine dei tempi. "Abbandonate, entrando, ogni speranza".
 

Queste parole di colore oscuro
vid'io scritte al sommo d'una porta;
per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».

Parafrasi: Vidi questa sentenza dal minaccioso significato incisa in cima a una porta; per cui mi rivolsi a Virgilio: «Maestro, ciò che essa dice per me è terribile».

 

Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.

Parafrasi: Ed egli, da persona perspicace qual era: «A questo punto occorre abbandonare ogni esitazione; ogni forma di pusillanimità deve ora sparire.

 

Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto».

Parafrasi: Siamo giunti dove ti dissi che avresti veduto le anime doloranti che hanno perduto la speranza di vedere Dio».

 

E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.

Parafrasi: E dopo che mi ebbe preso per mano con volto sorridente, per cui mi rincuorai, mi portò nel mondo difficilmente accessibile dell'inferno.

   

Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai.

Parafrasi: Ivi echeggiavano nell'aria senza luce gemiti, pianti e acuti lamenti, tanto che (udendoli) per la prima volta ne piansi.

   

Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle

Parafrasi: Differenti lingue, orribili pronunce, espressioni di dolore, esclamazioni di rabbia, grida acute e soffocate, miste al percuotersi delle mani l'una contro l'altra

   

facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.

Parafrasi: creavano nell'aria buia, priva di tempo, una confusione eternamente vorticante, così come (rapida vortica) la sabbia quando soffia un vento turbinoso.

   

E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?».

Parafrasi: E io che avevo la testa attanagliata dall'orrore, esclamai: "Maestro, che significano queste grida? che gente è questa, che appare così sopraffatta dal dolore?"

   

Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

Parafrasi: E Virgilio: "Questa infelice condizione è propria delle anime spregevoli di quelli che vissero senza meritare né biasimo né lode.

   

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Parafrasi: Sono mescolate alla malvagia schiera degli angeli che (in occasione della rivolta di Lucifero) non si ribellarono né rimasero fedeli a Dio, ma fecero parte a sé.

   

Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».

Parafrasi: Perché il loro splendore non ne sia offuscato, i cieli li tengono lontani da sé, né in sé li accoglie la voragine infernale, perché i colpevoli (gli angeli che parteggiarono per Lucifero) avrebbero di che vantarsi rispetto ad essi".

   

E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor, che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve.

Parafrasi: Ed io: "Maestro, cosa riesce loro così insopportabile, da farli prorompere in così disperati lamenti?" Rispose: "Te lo dirò in pochissime parole.

   

Questi non hanno speranza di morte
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.

Parafrasi: Costoro non possono sperare in un completo annullamento del loro essere (cioè nella morte dell'anima) e (d'altra parte) la loro vita senza scopo è tanto miserabile, da renderli invidiosi di qualsiasi altro destino.

   

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

Parafrasi: Il mondo non lascia sussistere alcun ricordo di loro; Dio non li degna né della sua pietà né di una sentenza di condanna non parliamo di loro, ma osserva e va oltre".

   

E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;

Parafrasi: E io, guardando con maggiore attenzione, scorsi un vessillo che girava correndo così velocemente, da sembrare incapace di una qualsiasi forma di quiete;

   

e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.

Parafrasi: e dietro ad esso avanzava una tale moltitudine, quale mai avrei immaginato fosse stata annientata dalla morte.

   

Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.

Parafrasi: e dietro ad esso avanzava una tale moltitudine, quale mai avrei immaginato fosse stata annientata dalla morte.

   

Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui.

Parafrasi: Compresi allora d'un tratto e fui sicuro che questa era la turba dei vili, sgraditi a Dio non meno che ai suoi nemici (i diavoli).

   

Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.

Parafrasi: Questi miserabili, che vissero come se non fossero vivi (in quanto non seppero affermare la loro personalità), erano nudi, continuamente punti da mosconi e da vespe che si trovavano lì.

   

Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.

Parafrasi: Esse rigavano il loro volto di sangue, che, misto a lacrime, era succhiato ai loro piedi da vermi nauseabondi.

   

E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi

Parafrasi: E dopo aver spinto il mio sguardo più in là, vidi sulla riva di un gran fiume una folla; perciò interpellai Virgilio: "Maestro, consentimi

   

ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com'io discerno per lo fioco lume».

Parafrasi: di apprendere chi sono queste genti, e quale consuetudine le fa apparire così ansiose di passare sull'altra riva, come intravedo attraverso la debole luce".

   
       Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
       quando noi fermerem li nostri passi
       su la trista riviera d'Acheronte».

Parafrasi: Virgilio mi rispose: «Le cose ti saranno note (conte: conosciute) quando fermeremo i nostri passi presso il doloroso fiume Acheronte».

   

Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.

Parafrasi: Allora, con gli occhi abbassati per la vergogna, temendo che il mio discorso gli riuscisse fastidioso, cessai di parlare finché arrivammo al fiume.

   
       Ed ecco verso noi venir per nave
       un vecchio, bianco per antico pelo,
       gridando: «Guai a voi, anime prave!
E (dopo essere qui giunti) ecco dirigersi alla nostra volta, su un'imbarcazione, un vecchio, canuto (bianco per antico pelo), che gridava: «Sventura a voi, anime malvagie!
   

Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.

Non illudetevi di poter più vedere il cielo: vengo per traghettarvi sull'altra riva nel buio eterno, nel fuoco e nel ghiaccio.
E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
E tu che, ancora in vita, ti trovi con loro, allontanati dalla turba dei già morti». Ma dopo aver visto che non me n'andavo,
disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti».
continuò: « Attraverso vie e luoghi di imbarco diversi giungerai alla riva, che non è questa, da dove sarai traghettato (per passare): una barca più leggiera ti dovrà trasportare ».
E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
E Virgilio gli disse: « Non te n'avere a male, o Caronte: si vuole così là dove si può fare tutto ciò che si vuole (è la decisione divina presa nel cielo Empireo, dove tutto ciò che è voluto può avere immediata attuazione), e non chiedere altro ».

Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

   

Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.

   

Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.

   

Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.

   

Caron dimonio, con occhi di bragia,
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.

   

Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,

   

similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.

   

Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.

   

«Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese:

   

e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.

   

Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».

   

Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.

   

La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;

 

e caddi come l'uom cui sonno piglia.

 

Commento

Il canto si apre con la famosa descrizione della porta infernale: non viene detto dove essa precisamente si collochi, qui viene citata soltanto la scritta che campeggia su di essa, di colore oscuro (forse anche quanto al senso, visto che Dante deve chiedere spiegazioni a Virgilio). L'ingresso nell'Inferno ha un effetto traumatico per Dante, colpito da sensazioni visive (l'oscurità fitta) e uditive (le disperate grida dei dannati) che lo fanno angosciare e provocano in lui il pianto, come altre volte avverrà nella Cantica.
Il Vestibolo (o Antinferno) è il primo luogo dell'Oltretomba a essere visitato.

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